Adriano Sollai: “Attenzione alla funzione repressiva del carcere”

Adriano Sollai, ProgReS. Foto marcellosaba.com
Adriano Sollai. Foto marcellosaba.com

Da pochi giorni la Sardegna, dopo 12 anni di attesa, ha finalmente la sua Garante per i Detenuti. Si tratta di Irene Testa, esponente del Partito Radicale, il cui storico leader Marco Pannella ha sempre denunciato la catastrofe umanitaria del sistema carcerario italiano, sovraffollato e incapace di garantire il reinserimento nella società delle persone detenute, proponendo soluzioni come l’amnistia, la depenalizzazione di alcuni reati e la profonda revisione della carcerazione preventiva.

Parliamo con Adriano Sollai, avvocato e Segretario di ProgReS, delle condizioni del sistema giudiziario e penitenziario italiano e sardo, della funzione punitiva e repressiva del carcere anche alla luce delle recenti e passate vicende accadute nelle strutture sarde.

Quando si parla di carcere è bene partire dalla rappresentazione di fatti concreti che ci possono aiutare, al di là delle affermazioni generali ed astratte, ad avere una corretta percezione di una realtà problematica come questa. 

È noto a tutti che i penitenziari sono affollati da persone che devono scontare una pena definitiva ma anche da chi è ancora in attesa di giudizio, senza distinzione. La ragione della cosiddetta carcerazione preventiva è il più delle volte quella della sicurezza sociale: si vuole così evitare che una persona sospettata di aver commesso un reato possa continuare a delinquere.

Qui però il sistema si inceppa, perché molto spesso la misura cautelare della custodia in carcere risulta l’anticipazione di un’eventuale futura pena, al di là di quando verrà celebrato il processo e del suo esito. Tutti noi ricordiamo la famosa operazione Arcadia che portò alla carcerazione nel luglio del 2006 di dieci militanti indipendentisti del movimento politico A Manca pro s’Indipendèntzia.

Bene, in quel caso queste dieci persone rimasero in carcere per sette mesi e ad oggi, a distanza di 17 anni, non si è neppure concluso il processo di primo grado. È del tutto evidente che la ragione della privazione della loro libertà non dipendeva da un pericolo per la società ma rappresentava un attacco punitivo e quindi repressivo nei confronti di quella forza politica e delle idee che esprimeva attraverso i suoi attivisti. Questo meccanismo, particolarmente evidente quando si perseguono reati politici, si riproduce spesso anche nei confronti di coloro che vengono accusati di reati comuni.

Il carcere dunque ha una doppia funzione: punitiva e repressiva

Il carcere dunque ha una doppia funzione: punitiva per chi è stato condannato nonché repressiva, nel senso che viene utilizzato per far assaggiare la pena a persone pur presuntivamente innocenti. L’aspetto rieducativo è meglio non prenderlo neanche in considerazione perché rappresenta una pura enunciazione di principio.

Diverse strutture carcerarie sarde negli anni scorsi sono state dismesse e ne sono state costruite di nuove. Erano carceri che si trovavano al centro delle nostre città, vetuste ed invivibili, ma che ci facevano fare quotidianamente i conti con questa realtà che ora è stata spostata in luoghi lontani e disabitati, quasi a voler farci dimenticare il problema.

Per il senatore Luigi Manconi “il sistema carcerario non deve in nessuna occasione rinunciare ai propri principi, in particolare il fatto che chi si trova nella custodia dello Stato deve essere per lo stesso Stato il bene più prezioso”. In Sardegna abbiamo avuto episodi di rigidità estrema del sistema giudiziario che, sommati alla grave situazione del sistema carcerario, hanno portato a tragedie come la morte in carcere del detenuto. Tragedie evitabili solamente con il trasferimento in strutture carcerarie italiane vista l’assenza di penitenziari sardi in grado all’assistenza medica immediata.

Purtroppo il carcere crea situazioni drammatiche la cui notizia raramente riesce a superare le alte e spesse mura. In questi giorni assistiamo impotenti al rigore dello Stato nei confronti dell’anarchico Cospito che ha intrapreso lo sciopero della fame in un carcere sardo contro la disumanità del regime del 41bis. Da parte sua lo Stato rivendica la propria superiorità morale perché sostiene di non dover cedere ai ricatti e alla violenza. Ma la pretesa superiorità lo Stato italiano l’ha già persa in varie occasioni come nell’indifferenza avuta nei confronti dell’indipendentista Salvatore Meloni, lasciato morire in seguito allo sciopero della fame anche nel momento in cui le sue condizioni di salute non risultavano più compatibili con lo stato di detenzione. In questi casi è la legge che impone la cessazione dell’esecuzione della pena e il suo rinvio.

Le carceri sarde ospitano molte persone detenute italiane, compresi i condannati per mafia e criminalità organizzata. Per contro i detenuti sardi vengono spesso spostati in carceri italiane. La territorialità della pena è una storica lotta dell’indipendentismo còrso e basco le cui associazioni dei parenti di persone detenute denunciano da sempre i lunghi, costosi e pericolosi viaggi che le famiglie sono costrette ad affrontare per recarsi in visita presso i penitenziari. Lo Stato italiano, nonostante la Costituzione più bella del mondo, continua a collezionare da anni le condanne da parte della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo in tema di trattamenti inumani e degradanti nei penitenziari.

Spesso per i sardi che tanto generosamente offrono la loro terra per recludere detenuti italiani, la pena è raddoppiata a causa dell’allontanamento in istituti penitenziari del Continente, lontano dalla loro terra a dai familiari. La territorialità della pena deve essere un principio sacrosanto, garantito e difeso, soprattutto da parte degli indipendentisti.  

D’altronde noi indipendentisti, in Sardegna come in Europa, siamo un baluardo contro l’ossessione oppressiva e repressiva degli Stati che alle richieste di dialogo, democrazia e confronto politico oppongono il carcere come unica soluzione. Purtroppo i patrioti catalani e còrsi lo sanno molto bene. La lotta per l’indipendenza delle nostre nazioni passa anche dalla nostra volontà di costruire una società diversa da quelle in cui viviamo, iniziando da dove lo Stato si dimostra più brutale nonostante le ricorrenti affermazioni di principio con la Costituzione in mano.

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