L’Insularità in Costituzione crea più dipendenza

Adriano Sollai, ProgReS. Foto marcellosaba.com
Adriano Sollai. Foto marcellosaba.com

di Adriano Sollai.

L’insularità in Costituzione è una di quelle battaglie che uniscono trasversalmente la litigiosa classe politica sarda. Di ciò non bisogna stupirsi, perché intorno al niente è facile fare comunella. Così come è normale per questi politicanti esprimere la loro subordinazione: è nella loro indole, cosa questa che gli permette di esistere.

In tempi in cui l’unica questione seria sarebbe quella di negoziare un nuovo rapporto Sardegna – Italia, stante il logoramento della obsoleta e inefficace autonomia speciale, lor signori si sono inventati l’ennesimo stratagemma per fare in modo che le cose rimangano così come sono.

Scendiamo nel dettaglio della loro improvvida iniziativa di legge costituzionale, approvata il 3 novembre dalla Commissione affari costituzionali del Senato: sul presupposto che la Sardegna è un’isola e che per tale infausta condizione naturale sia svantaggiata rispetto ai territori continentali, hanno chiesto ed ottenuto l’avvio di un iter procedimentale di modifica della Costituzione italiana che dovrebbe portare all’inserimento nell’art. 119 della stessa Carta di una nuova norma che afferma “La Repubblica riconosce la peculiarità delle isole e promuove le misure necessarie e rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”.

Secondo gli entusiasti promotori questa nuova disposizione di principio dovrebbe consentire alla Sardegna di cambiare rotta in ordine a tutta una serie di problematiche e questioni che affliggono la nostra Isola, dal basso reddito pro capite alla disoccupazione, dai trasporti al turismo, dallo spopolamento alla fragilità ambientale, che, appunto, secondo loro deriverebbero da una questione geografica e non politica. E tutto ciò, ovviamente, in nome della coesione “nazionale”.

Che non abbiano per un attimo pensato che la nostra condizione di arretratezza derivi dal loro operato! Per onestà intellettuale, se la mia terra, che governo da decenni, versa in una condizione drammatica, dovrei ritenere che la mia attività di governo abbia fallito e ne dovrei trarre le dovute conseguenze. Invece no, è meglio far credere agli elettori che il perdurante sottosviluppo della Sardegna derivi da una avversa condizione naturale e che una norma di legge sistemerà tutto.

Se non abbiamo trasporti interni, se non abbiamo una rete stradale sicura e funzionale, se i nostri giovani scappano a gambe levate all’estero afflitti da una disoccupazione senza eguali, se non possiamo viaggiare liberamente e comodamente, se i nostri paesi si svuotano, se i giovani non fanno più figli, è perché siamo un’isola e come tale vogliamo essere aiutati.

Anziché rivendicare l’autogoverno, espressione di una moderna sovranità in un contesto europeo e mediterraneo, i fautori della insularità chiedono di essere più dipendenti dallo Stato italiano, che secondo i loro auspici dovrebbe darci più soldi per compensare la nostra sfortunata condizione naturale.

Senonché, i promotori di questa bella trovata sono i locali esecutori materiali di una politica centralista che vede nella nostra isola un territorio da spolpare.

Le nostre ricchezze vengono rapinate, il nostro ambiente viene deturpato, i territori dei nostri paesi sono occupati militarmente, nella totale complicità di una classe politica nostrana occupata a perpetuare i suoi privilegi e che anziché pretendere la fine di questa politica neocoloniale ed una autonoma gestione delle nostre risorse nell’esclusivo interesse dei sardi, continua a cercare ostinatamente espedienti volti a creare maggiore sudditanza in favore dello stato italiano e così una sua continua legittimazione.

Invero, la nostra posizione naturale è quella di un’Isola al centro del mediterraneo che potrebbe avvantaggiarsi della possibilità di commerci con i Paesi vicini, abbiamo caratteristiche uniche ambientali, climatiche, culturali che ci consentirebbero lo sviluppo di una economia sostenibile in grado di dare benessere a tutti i sardi e non ai gruppi economici e agli affaristi del continente. Lo svantaggio che abbiamo è invece quello di far parte di uno Stato che ci usa come una colonia interna e questo lo dobbiamo alla storia, non alla geografia.

Adriano Sollai
Segretàriu Natzionale de ProgReS

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