Competenza linguistica italiana e dispersione scolastica. Esiste una relazione?

di Roberto Bolognesi

Intuitivamente sembrerebbe ovvio che se un ragazzo ha una scarsa competenza linguistica passiva, cioè di comprensione della Lingua in cui sono scritti i testi scolastici, questa non possa che tradursi in uno scarso rendimento in qualsiasi materia.

Eppure, a quanto mi risulta, dopo aver frugato internet per vari anni, finora non è stata effettuata alcuna ricerca per stabilire se una tale correlazione esista o meno.

Ho appena finito di scorrere le 236 pagine del rapporto per il 2022 dell’Autorità Garante dell’Infanzia e l’Adolescenza dal titolo La dispersione scolastica in Italia: un’analisi multifattoriale.

Le cause della dispersione scolastica vengono presentate con queste parole: “La dispersione scolastica, al di là della sua rappresentazione numerica, è un fenomeno complesso che coinvolge diverse dimensioni della vita sociale della persona di minore età e della comunità in cui vive: dai servizi per la prima infanzia alla formazione professionale, dalle politiche sociali a quelle abitative e del lavoro. I fattori connessi possono dipendere dalla disoccupazione, dalle situazioni di esclusione sociale e di povertà, ma non si possono escludere nemmeno quelle motivazioni riconducibili a disagi personali e/o familiari, difficoltà nell’apprendimento e, più in generale, il modo in cui il singolo studente reagisce al sistema scolastico. Altre cause, da non sottovalutare, sono da attribuire a motivazioni individuali che possono spingere verso l’abbandono precoce degli studi e, fra queste, un peso notevole è attribuito ai disturbi d’ansia”.

Nella presentazione non si fa alcun riferimento alla situazione linguistica reale dei ragazzi. Nell’intero documento i riferimenti alla situazione e alla competenza linguistica dei ragazzi compaiono esclusivamente in due passaggi:

  • “Finalità generali: Un’alfabetizzazione funzionale in grado di assicurare le competenze linguistiche e alfanumeriche necessarie per l’esercizio della cittadinanza”. (Pag. 116);
  • “Il percorso della tutela integrata si realizza nell’arco di due anni. Nel primo si offre sostegno ai minori di età compresa fra i 14 e i 15 anni con conoscenze di base della lingua italiana”. (Pag. 152).

Questo è tutto. Verrebbe da pensare che ipotizzare una correlazione fra competenza passiva dell’Italiano standard e conseguente comprensione dei testi scolastici sia una questione ingenua, naïf. Altrimenti non si spiega questo totale disinteresse alla questione da parte della scuola e più in generale dello Stato. E, si badi bene, correlazione non significa necessariamente un rapporto causa-effetto ma soltanto che se si verifica un dato fenomeno se ne verifica anche un altro.

Molte ricerche hanno stabilito varie cause per la dispersione scolastica e così si esprime anche il rapporto dell’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Mai però si fa riferimento al fatto che queste varie cause possano avere origine da un’inadeguata competenza nella lingua che la scuola pretende dai ragazzi.

Un alunno proveniente da una famiglia economicamente svantaggiata – e quindi tendenzialmente anche culturalmente svantaggiata – avrà meno occasioni di frequentare un ambiente sociale in cui la lingua veicolare si avvicina all’Italiano standard e, quindi, di dotarsi di una competenza linguistica adeguata a quella che la scuola italiana dà per scontata.

Ma mai e poi mai ho trovato un documento in cui si faccia riferimento al fatto – questo sì scontato – che un’inadeguata competenza linguistica passiva non possa non riflettersi sul rendimento scolastico dei ragazzi e quindi nel loro eventuale abbandono della scuola. Insomma, la mia impressione è che esista un divieto implicito e tacito, ad affrontare questo argomento. Ma noi a maggior ragione vogliamo sapere quale sia la situazione linguistica effettiva dei ragazzi sardi, quelli che scuola, istituzioni e mass media definiscono frettolosamente come italofoni.

  • In quale misura si possono definire italofoni i ragazzi sardi?
  • Fin dove la loro Lingua coincide con l’Italiano standard, visto che in Sardegna si parla correntemente il cosiddetto Italiano Regionale di Sardegna, nato dal contatto fra il Sardo e l’Italiano appreso come lingua straniera, da parte dei sardofoni delle precedenti generazioni, e ormai stabilizzatosi?
  • Qual è la competenza passiva di comprensione dell’Italiano scolastico da parte dei discenti sardi? Si può misurare o quantificare questa competenza?
  • Esiste una correlazione tra questa competenza e il rendimento scolastico generale?
  • Oppure esiste una correlazione stretta tra questa competenza e i risultati rispetto alla materia più direttamente collegata, l’Italiano?
  • Esiste infine una correlazione tra il rendimento in Italiano e il rendimento generale del discente?
  • Insomma, si può prevedere il futuro abbandono scolastico di un discente sardo prendendo in esame i suoi voti in Italiano?

Nel caso in cui tale correlazione risultasse presente le sue conseguenze come concausa della dispersione scolastica sarebbero stabilite e questo non potrebbe che risultare in una visione molto diversa rispetto all’insegnamento della Lingua italiana nelle scuole sarde. Sembra ragionevole supporre che l’Italiano standard, quello che la scuola dà per scontato, non costituisca la Lingua con cui sono cresciuti moltissimi dei ragazzi sardi.

Un primo riconoscimento della drammatica situazione in Sardegna l’ho trovato nel sito Openpolis: “Nella regione si registrano del resto divari educativi negli apprendimenti in classe. Nei test Invalsi 2020/21, il 48,6% degli studenti sardi in III media si è attestato sui livelli di competenza 1 e 2 in italiano, considerati non adeguati, a fronte di una media nazionale del 39% circa. Nella provincia di Sassari il dato supera il 49%. Mentre nella città metropolitana di Cagliari sono risultati inadeguati i test del 41,4% degli studenti. Dati a cui dedicare un’attenzione prioritaria: i bassi livelli di competenza sono uno dei segnali più rilevanti della dispersione scolastica”.

Per quanto riguarda la dispersione scolastica in sé ho trovato questi dati nel sito della CISL Scuola: “L’aumento della povertà tra i giovani in età scolare mette a rischio anche i percorsi educativi. In Sardegna, nel 2022, circa il 9,7% degli studenti con un diploma superiore si ritrova in condizioni di dispersione “implicita”, cioè senza le competenze minime necessarie per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università. Nell’Isola il 13,2% dei minori non arriva neanche al diploma delle superiori in quanto abbandona precocemente gli studi”.

Comunque sorgono forti dubbi nel vedere il dato del 13,2% di dispersione, che dimostrerebbe un miglioramento della situazione di addirittura 10 punti percentuali in due anni. Infatti ancora nel 2020 la situazione era la seguente: “La Sardegna è la regione più colpita da questo fenomeno. Qui infatti il 23% dei giovani abbandona prematuramente gli studi, un dato decisamente più alto della media nazionale del 14,5%”. Nel 2022 insomma ci troveremmo di fronte a un vero e proprio miracolo, visto che per molti anni la dispersione scolastica in Sardegna si è sempre aggirata attorno al 25%.

Si veda anche il grafico riguardante le varie regioni dello Stato italiano, pubblicato dal Sole 24 Ore nel 2019: la dispersione in Sardegna supera il 30%.

Fonte: Il Sole 24 Ore

Insomma, davanti a una situazione che può essere definita solamente come drammatica, con il miracolo del 2022 tutto da chiarire, colpisce il disinteresse generale per una ricerca che metta in chiaro se vi sia una relazione tra competenza linguistica passiva e dispersione scolastica e quale eventualmente essa sia.

Messa in questi termini semplici la questione fa evidentemente paura a chi basa il proprio potere e il proprio benessere economico sul mito del siamo tutti italiani perché parliamo tutti in Italiano.

La mostruosa dispersione scolastica della Sardegna – ma non solo – dimostra che esistono ragazzi che vengono considerati cittadini di serie B, probabilmente sulla base della loro Lingua non accettata dalla scuola.

LA RICERCA

Condurre questa ricerca sarebbe molto semplice. Basterebbe effettuare un test sui ragazzi delle seconde superiori per stabilire quale sia la situazione rispetto alla loro competenza lessicale, la conoscenza delle parole, e grammaticale o testuale, la comprensione delle frasi.

Questo test è già stato messo a punto. Sulle reti sociali ho lanciato un appello ai miei contatti che lavorano nella scuola per raccogliere un numero sufficiente di pagine scelte a caso dai libri di testo di varie materie in diversi tipi di scuola: sono arrivate oltre 150 pagine da libri di testo di V elementare (25% ca.), II media (25% ca.) e II superiore di diverso tipo (Liceo e ITI, 50% ca.).

In queste pagine sono state effettuate alcune selezioni randomizzate di frasi e di parole, per arrivare a un totale di 30 parole inserite in 30 frasi rappresentative della Lingua in uso nei testi scolastici: quell’Italiano che la scuola dà per scontato che i ragazzi conoscano già.

Faccio presente che la selezione randomizzata ha portato a individuare 30 parole e frasi di difficoltà medio-bassa: esattamente quella tipologia che non dovrebbe presentare problemi ma che presumibilmente li presenta proprio a quei ragazzi che interrompono gli studi. Adesso bisogna sottoporre il test in un numero sufficiente di seconde classi delle medie superiori.

Sono prevedibili resistenze da parte dei responsabili scolastici e infatti sono già arrivate voci di dirigenti allarmati e insospettiti alla sola idea del test. Noi andremo avanti.

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