I pastori sardi tra mito e lotta: potenza potenziale o potenza assoluta?

Una lettera aperta di Simone Maulu per stimolare la riflessione sulla situazione della lotta dei pastori sardi e sulle sue possibili prospettive future.


Stando alle cronache degli ultimi giorni pare si preannunci una nuova stagione di lotta dei pastori sardi. Su questo tema vorrei intervenire in modo diverso da quello che forse ci si aspetta da un rappresentante di un movimento politico indipendentista. Nel senso che non vorrei fare un intervento tecnico, sul prezzo del latte o sul pecorino romano, né tantomeno vorrei prospettare soluzioni anche perché la nostra visione sul comparto agropastorale penso sia da sempre abbastanza nota. Vorrei parlare di un’altra crisi, non economica ma molto più profonda, che secondo me affligge i pastori e per farlo vi voglio raccontare una storia.

Io ho trentaquattro anni. Da quando ne avevo diciassette faccio attivamente parte di iRS quindi possiamo dire che sono sempre stato indipendentista. Ovviamente quando si è ragazzini si è sempre molto idealisti e sognatori. Mi ha sempre affascinato il mito dei pastori tant’è che quando ero piccolo il mio sogno era quello di fare il pastore.

La prima volta che ho detto ai miei genitori che da grande avrei voluto fare il pastore hanno iniziato a guardarmi con sospetto ma essendo molto rispettosi delle scelte dei propri figli mi hanno risposto, anche se con tono un po’ scoraggiante, che se mi piaceva avrei potuto farlo e che comunque avrei dovuto iniziare facendo il servo pastore, imparare, etc…

Un giorno, intorno ai tredici anni, ho incontrato la mia maestra dell’asilo che rivedendomi dopo tempo mi chiese cosa avrei voluto fare da grande e io, orgoglioso e a testa alta, le risposi “voglio fare il pastore!”. La maestra si mise le mani in testa e tentò di scoraggiarmi in tutti i modi dicendomi che era un lavoro duro, che non esistevano vacanze, che si doveva lavorare al freddo sotto la pioggia e che il lavoro non era mai retribuito abbastanza. Ma a me tutto questo non spaventava. Nella mia testa il mito era più forte della fatica.

Simone Maulu e Giovanni Masia alla manifestazione del Movimento Pastori Sardi di Porto Torres nel 2010
Simone Maulu e Giovanni Masia. Manifestazione del Movimento Pastori del 2010 a Porto Torres

Poi il pastore non l’ho fatto ma il mondo della campagna mi ha sempre appassionato e ho iniziato a chiedermi perché da piccolo volevo fare il pastore e non il parrucchiere come i miei genitori, oppure un altro mestiere. Forse all’epoca volevo fare il pastore per sentirmi più sardo, forse perché non conoscevo il lavoro che c’è da fare in campagna ma sicuramente perché ai miei occhi i pastori erano avvolti nel mito. Il mito della resistenza culturale, della conservazione dell’identità, del codice barbaricino e della convivenza tra anarchia e senso del dovere; del raffinatissimo concetto di òmine prodotto dalla civiltà pastorale che misura il valore di un uomo per come la persona è e non per quello che possiede; del canto a tenore, delle maschere, del parlare a sùipos, della profondità dei silenzi e del loro linguaggio nella nostra cultura; del senso di solidarietà del popolo delle campagne; del valore della parola e di una stretta di mano.

Avevo il mito della battaglia di Sanluri del 1409 nella quale tutti i sardi in forze, quindi in prevalenza pastori, erano andati volontari a unirsi all’esercito di Arborea e a combattere per difendere la Repùblica Sardisca contro i catalano-aragonesi. L’emblema della libertà e della incorruttibilità che per me era incarnato dal pastore sardo.

Grazie alla mia appartenenza a iRS ho conosciuto Priamo Cottu e Giovanni Masia, pastori indipendentisti in prima linea da sempre, e grazie a loro ho partecipato alla mia prima manifestazione con i pastori nel novembre 2005 quando con il Copas-Coordinamento Pastori Sardi abbiamo portato le pecore a Cagliari, in viale Trento, sotto il palazzo della Regione. E mi sembra che il tema fosse sempre il prezzo del latte, pagato 51 centesimi al litro. Avevo diciotto anni.

Cagliari, manifestazione del CoPas del 2005

Da quel giorno ho partecipato attivamente a tutte le manifestazioni del Movimento Pastori Sardi, Civitavecchia compresa, e anche alle ultime manifestazioni del febbraio 2019.

Ho avuto modo di conoscere tanti pastori e di approfondire i loro problemi.

Quando andammo a Cagliari in diecimila ci sentivamo intoccabili. Le manifestazioni, imponenti, molto partecipate, determinate, hanno segnato la mia vita politica e sociale e, nonostante tutto, ne porto con me tanti bei ricordi. Dico nonostante tutto perché probabilmente io le vedevo da un punto di vista diverso. Probabilmente proprio perché non sono un pastore riuscivo a vederle razionalmente dall’esterno. Le vivevo dall’interno e le vedevo dall’esterno. E a parte la rivendicazione in sé che a me fondamentalmente non mi riguardava personalmente o meglio mi riguardava politicamente ma non personalmente, riuscivo a vedere cosa avrebbero potuto significare per la Sardegna i pastori a prescindere dal prezzo del latte.

Vedevo anzitutto un esercito, pacifico ma determinato, senza paura. Un esercito composto da pastori che arrivavano da tutta la Sardegna. Donne, uomini, ragazzi, bambini, vecchi. Arrivavano sia dalle coste che dai monti più sperduti, testimoni di un controllo capillare del territorio. Nessuno ha un controllo del territorio sardo come quello dei pastori. Vedevo unità, non solo dal punto di vista della bandiera ma un’unità culturale e sociale. Vedevo che i pastori uniti non li può fermare nessuno. Una potenza assoluta.

Questo è quello che faceva e che fa ancora oggi paura alla classe politica, questa potenza potenziale

Quindi la politica, per sedare, per calmare gli animi, mette a correre soldi. O peggio ancora fa circolare la promessa dei soldi. Soldi per il comparto, per tamponare la crisi, etc. Perché tanto basta a mettere a correre un po di soldi e i pastori già se ne tornano all’ovile. Sedati. Ingannati. E quando i soldi non bastano, e non bastano mai, entrano in gioco le guide indiane.

Chi erano storicamente le guide indiane? Erano indiani d’America con una buona conoscenza e un buon controllo del territorio che venivano ingaggiati dai coloni per convincere altri indiani a sedare le rivolte e facilitare gli interessi dei coloni stessi. In Sardegna le guide indiane sono rappresentate dalla dinamica dei compari. “Votamus a compare chi est istudiadu”, “votamus a compare gai b’amus unu compaesanu in sa Regione”. E spesso i compari sono i rappresentanti territoriali dei partiti italiani che parlano, promettono, convincono. E alla fine ti fottono sempre! “Ma tocat de lu votare”.

Mi sono reso conto che i pastori, politicamente, non si fanno rappresentare dai pastori. “Ca unu che a mie ite nd’ischit? Votamus s’avocadu o su dutore”. Sicuramente pensando di fare un salto di qualità, meglio ancora se è continentale. Ché forse ci salva lui. E non ci salva mai. Da sempre.

Quindi io oggi, da indipendentista sempre al fianco dei pastori, sto vivendo questa profonda delusione. Mi sta quasi crollando un mito. Mi sento spaesato.

Barcellona, delegazioni catalana, còrsa e sarda in solidarietà ai pastori colpiti da denunce mostrano il manifesto della campagna “I pastori non si arrestano” dell’Associazione Libertade

E sto usando questo termine, spaesato, con molta cognizione di causa. Spaesato come quando sono andato a Barcellona la prima volta e mi son ritrovato all’aeroporto, completamente disorientato. Era enorme, vedevo gente arrivare, tornare, chi vendeva qualcosa, chi ti voleva portare la valigia, chi cercava di vendere panini, tutti parlavano una Lingua diversa, avevano codici diversi, ma tutti sapevano benissimo cosa dovevano fare perché avevano i loro punti di riferimento, guidati dalla loro appartenenza a quel luogo.

Io che ero abituato all’aeroporto di Alghero ovviamente non avevo punti di riferimento, ero in un paese straniero che non mi apparteneva. Percepivo il caos.

E con i pastori, oggi, da indipendentista, sto rivivendo questa sensazione perché mi sembra che i pastori non sentano di appartenere alla Sardegna se non in una leggera forma di appartenenza verbale che però rimane in uno stato d’animo. Perché politicamente i pastori fondamentalmente si identificano nell’Italia: parlano di politica italiana e votano partiti italiani.

Non solo. Ultimamente, con l’imperversare in Sardegna del modello culturale della Lega siamo arrivati a infrangere persino un codice sacro della campagna – e quindi della nostra cultura – che era il divieto assoluto di prendersela i più deboli. Mentre Salvini propina l’esatto contrario: con l’attacco verso i più deboli ci ha costruito una carriera politica e noi gli abbiamo permesso di farlo anche in Sardegna. Tradendo la nostra cultura.

Diecimila pastori a Cagliari. Manifestazione del Movimento Pastori Sardi, 2010

Quindi dopo quindici anni di battaglie indipendentiste e sempre al fianco dei pastori oggi mi chiedo se ai pastori della Sardegna gliene frega realmente qualcosa o se gli interessa solo il prezzo del latte. Mi chiedo se gli interessa difendere questa terra in quanto sardi che appartengono a questa nazione e a questo popolo, difendendone con coscienza l’identità, l’economia, gli interessi sociali e culturali. Oppure gli basta ostentare la sardità al bancone del bar senza però compiere nessun tipo di azione concreta e collettiva affinché questo stato d’animo si concretizzi realmente, fino a diventare forza di governo?

Anche perché in Sardegna stanno arrivando multinazionali inglesi, cinesi, russe che stanno cercando terreni da comprare per speculazioni di ogni genere. Li pagano anche il doppio del loro valore commerciale. Nelle condizioni economiche e culturali disastrose in cui ci troviamo oggi è facile che molti proprietari terrieri vendano, convinti di aver fatto un affare. Un po’ come la vecchia storia della Costa Smeralda che è diventata la barzelletta preferita di tutti. Ma se questi pagano il doppio vuol dire che i terreni hanno un valore potenziale che è molto più del doppio. E noi tra poco ci troveremo come in alcune zone del Sud America ad abitare quest’isola come degli zombie, svuotati di tutto, senza essere neanche padroni della terra. 

Vi lascio con questi dubbi che da un po’ di tempo mi attanagliano, perché, ve lo dico francamente, forse ho paura di darmi delle risposte. 

Però credo che prima di iniziare una nuova stagione di lotta sia fondamentale aprire una profonda e sincera riflessione che vada oltre il prezzo del latte e che ci porti a capire se la lotta dei pastori sardi è da inquadrare come una classica lotta di comparto rivendicazionista o se può diventare una lotta di popolo, del popolo sardo, che vede i pastori in prima linea.

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