Intervista a Fawzi Ismail sulla situazione in Palestina

Associazione Amicizia Sardegna-Palestina


Puoi raccontarci in breve chi sei e qual è il tuo ruolo in Sardegna rispetto alla questione palestinese?

Sono un palestinese nato in Palestina, cacciato via dalla sua terra da bambino insieme alla famiglia e a molte altre famiglie palestinesi durante la Guerra dei Sei Giorni del ’67; in seguito alla distruzione completa del mio paese natale siamo andati in Giordania dove ho vissuto la mia infanzia nei campi profughi. Una vita sicuramente molto difficile e molto insidiosa che ha segnato tutta la mia vita. Tuttora ho ricordi di quei giorni della mia infanzia quando mancava tutto, non abbiamo vissuto una reale vita nemmeno da bambini e da ragazzini. Per fortuna abbiamo avuto la possibilità insieme ad altri miei coetanei di andare a scuola e questo ci ha permesso tramite lo studio una specie di rivincita rispetto alla privazione della nostra terra e della nostra società.
Dopo la maturità in Giordania sono venuto in Sardegna, a Cagliari, e questo mi ha permesso di laurearmi in medicina: lavoro attualmente a Cagliari come medico.


Questo mio passato da profugo e l’essere stato bambino nei campi profughi è rimasto un ricordo che affiora spesso nella mia mente e questo mi ha portato ad impegnarmi per sostenere la causa palestinese, per sostenere in particolar modo l’aspirazione di un popolo che lotta per la sua sovranità per la sua indipendenza.


A Cagliari ho avuto, insieme ad amici arabi, palestinesi, sardi e a molti altri compagni la possibilità di fondare l’associazione “Amicizia Sardegna-Palestina”; tramite l’associazione stiamo portando avanti attività politico-culturali per far conoscere la Palestina, per far conoscere la sua storia, la sua cultura e le sue tradizioni. Abbiamo raccontato e abbiamo fatto conoscere quello che sta succedendo in Palestina: questo ci ha permesso di avere contatti con molti compagni e molti amici. In Sardegna abbiamo avuto sicuramente una buona risposta e una buona accoglienza anche delle istanze politiche della resistenza palestinese.


Qual è la causa concreta dell’attuale situazione di crisi a Gerusalemme e a Gaza? Quale pensi sia la tipologia di risposta alle azioni israeliane più utile da parte dei palestinesi?

Sicuramente la causa concreta della situazione attuale è l’aggressione israeliana contro la popolazione palestinese. Dalla metà dell’aprile scorso, nel mese di preghiera del Ramadan, molte persone si sono recate presso la moschea di al-Aqsa che, come sapete, è un luogo tra i più sacri per i musulmani in tutto il mondo. In questo contesto sono avvenute le provocazioni dei soldati e dei coloni israeliani che hanno cercato sempre di dissacrare la Moschea entrando a provocare i fedeli mentre sono in preghiera. Questo è quello che è successo la notte del 3 maggio giorno in cui hanno cercato anche di occupare la moschea con migliaia di coloni; questa è una dinamica che dura da molto tempo e continua, tutti i giorni, a Gerusalemme.


Un’altra situazione particolare che è salita alla ribalta della cronaca nei mezzi d’informazione riguarda un quartiere di Gerusalemme, Sheikh Jarrah, da cui Israele cercava e cerca ancora di deportare e mandare via dalle loro case le famiglie palestinesi che ci abitano dal 1956; queste famiglie erano già state cacciate via dalle loro case nella parte ovest della città di Gerusalemme durante la guerra del ’48 in seguito all’occupazione sionista della Palestina e si sono stabilite in quel quartiere nella zona di Gerusalemme est che allora era rimasta sotto l’amministrazione giordana.


Gli israeliani continuano nella loro politica di ebraizzazione della città di Gerusalemme, continuano la deportazione e la pulizia etnica dei palestinesi da tutta la Palestina in particolar modo nella città che loro rivendicano come capitale d’Israele: da lì la resistenza e la ribellione della popolazione di Gerusalemme in sostegno a queste famiglie del quartiere Sheikh Jarrah che ha portato alla solidarietà e a una risposta di ribellione dei palestinesi in tutta la Cisgiordania e non solo. Questo aspetto è stato molto importante perché molti dei palestinesi delle città occupate nel ’48 sono scesi in piazza a rivendicare sia il diritto dei palestinesi a rimanere nelle loro case sia la lotta di liberazione di tutto il popolo palestinese. Ne è scaturita una nuova ribellione popolare.


Queste sono le provocazioni e le continue angherie dell’esercito israeliano e dei coloni: anche qualche giorno prima dell’escalation nella Striscia di Gaza i coloni a Gerusalemme a migliaia cercavano di aggredire i fedeli nella moschea gridando “Morte agli Arabi”; La resistenza palestinese a Gaza – come sapete Gaza è sotto embargo e sotto assedio da più di 15 anni – ha avvertito l’occupazione israeliana di non toccare Gerusalemme e smetterla di provocare i fedeli; gli israeliani invece hanno insistito nella loro azione provocatoria e nella repressione durante tutto il mese di Ramadan. A quel punto c’è stata un’escalation e ci sono stati anche dei lanci di missili palestinesi verso Gerusalemme e Tel Aviv per far capire che i palestinesi di Gerusalemme non possono essere lasciati soli.


Credo che i palestinesi in quanto popolo sotto occupazione abbiano il diritto ma anche il dovere di ribellarsi contro l’occupazione militare. Hanno anche il diritto di resistere con tutti i mezzi, con quelli che trovano giusti e possibili. Questo è un diritto sancito anche dalle leggi internazionali e dalle Nazioni Unite: un popolo sotto occupazione ha il diritto di lottare coi mezzi a sua disposizione.


Penso che nei territori occupati in Cisgiordania, nella zona del ’48, la ribellione, le manifestazioni, gli scioperi generali e la disobbedienza civile siano un mezzo abbastanza valido perché non ci sono possibilità di fare altro. Questo anche per le mancanze della comunità internazionale e senza una vera e propria proposta da parte degli israeliani per risolvere o cercare di risolvere la questione della Palestina.


I palestinesi non dimenticheranno mai i loro diritti e il loro diritto alla libertà dall’occupante imperialista e colonialista: sappiamo che Israele è forte perché sostenuto e appoggiato da tutto l’Occidente, dall’Europa e dagli Stati Uniti d’America che continuano a sostenerlo con armi, soldi e tecnologia; abbiamo visto anche la posizione vergognosa dell’Europa intera e degli Stati Uniti d’America che riconoscono a Israele il diritto di difendersi ma negano ai palestinesi il diritto di ribellarsi contro l’occupazione e di lottare per i loro diritti e per difendersi: comprendiamo questo atteggiamento perché Israele è una creatura del colonialismo imperialista americano ed europeo in Palestina ed è quindi un avamposto dell’imperialismo mondiale nella regione araba; l’occupazione della Palestina viene vista da tutti i Paesi arabi e da tutti i popoli arabi come una minaccia e una provocazione permanente che dura da parecchio tempo.


Oggi purtroppo siamo arrivati a questa escalation, non credo che sia l’ultima perché finché non avremo diritti, non avremo sovranità e non avremo liberato la Palestina dal colonialismo israeliano non si potrà parlare di pace né di giustizia. Quello che sta succedendo oggi non è altro che la continuazione della pulizia etnica e della guerra di devastazione e distruzione iniziata dalle bande sioniste nel 1948: finché non verranno risolte le conseguenze di quella guerra, con la liberazione della Palestina e il ritorno dei profughi nelle loro case in base alle leggi internazionali, non credo possibile che si possa arrivare ad una pace giusta.


Cosa pensi della soluzione “due popoli, due stati” prevista dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e sostenuta in Europa da molti opinionisti legati a Israele?


L’opzione dei “Due popoli, due Stati” è una opzione delle Nazioni Unite e della comunità internazionale che è stata teorizzata molto tempo fa per risolvere la questione della Palestina. Questa è stata teorizzata dopo la guerra del ’67, dopo che Israele ha occupato il resto della Palestina storica: Cisgiordania, Striscia di Gaza e Gerusalemme Est.

Questa risoluzione, sempre disattesa da Israele, non è stata mai attuata e il Consiglio di Sicurezza non ha mai attivato alcun meccanismo per metterla in pratica. L’Europa a parole parla di due popoli e due Stati ma continua a sostenere uno Stato solo – quello israeliano – e impedisce la nascita di uno Stato palestinese perché dopo il cosiddetto accordo di pace di Oslo tra palestinesi ed israeliani firmato nel 1993, i coloni in Cisgiordania e Gerusalemme (dove in base a quegli accordi sarebbe dovuto nascere lo Stato palestinese) erano 200 mila ma Israele ha successivamente intensificato le confische e la costruzione di colonie e oggi di fatto i coloni in Cisgiordania sono più di 700 mila.


Per far rispettare questa risoluzione Israele dovrebbe ritirarsi dai territori occupati del ’67. Questo non è mai avvenuto, anzi, gli israeliani rivendicano che tutta la Palestina sia loro: gli accordi di Oslo sono stati una farsa e questo è responsabilità soprattutto della parte palestinese che li ha firmati e continua a collaborare con Israele, ma anche e soprattutto è responsabilità della complicità dell’Europa che chiede sempre alle vittime, i palestinesi, di cedere sui loro diritti.


Oggi la Palestina è interamente occupata. Oggi la Palestina e i palestinesi vivono tutti sotto occupazione nonostante si parli di una “Autorità Nazionale Palestinese” che non ha nessuna sovranità e non ha nessuna voce in capitolo.


Cosa pensi della soluzione proposta storicamente dal Partito Radicale favorevole all’ingresso di Israele e Turchia nell’UE come “unica possibilità di andare a una rivoluzione democratica in tutto il Medio Oriente”?

Ormai penso che quello riguardante l’ingresso della Turchia in Europa sia un capitolo chiuso. Invece sull’ingresso di Israele nell’Unione Europea c’è da considerare che, anche se Israele non fa parte dell’UE, di fatto viene considerato come uno Stato membro: hanno i privilegi dei paesi europei e quindi, di conseguenza, nonostante il suo ingresso non sia sancito legalmente con accordi ben chiari, lo è come prassi e grazie ad un tacito assenso. Di fatto Israele fa parte dell’Unione Europea: basti pensare a tutti gli accordi militari, economici e commerciali che dimostrano quanto Israele sia privilegiato dall’Europa.


Aggiungo anche che l’Europa considera gli Israeliani come europei di fatto anche perché la maggior parte dei cittadini israeliani sono di origine europea, quindi sono culturalmente simili. Infatti Israele nel contesto mediorientale appare diversa ed estranea alla geografia, alla storia e alla cultura di quella regione.


I report delle grandi associazioni non governative internazionali sulla situazione dei diritti umani e politici in Israele sono molto dure e descrivono una situazione di gravi violazioni. Quali differenze ci sono tra la vita reale di un palestinese dei Territori occupati e uno con cittadinanza israeliana?

I report delle associazioni non governative internazionali sui diritti umani sono abbastanza duri ma sono spesso clementi con Israele, uno Stato che pratica l’apartheid, uno Stato dove la discriminazione razziale e religiosa è di fatto legge. Israele è l’unico Paese che dà la cittadinanza in base alla religione, è l’unico Paese al mondo che legalizza la tortura*. Israele è l’unico Paese del mondo che viene considerato uno Stato fatto solo per gli ebrei, secondo una legge del loro Parlamento che dice che la terra appartiene solo ad una religione.


Quindi di fatto c’è molta discriminazione verso chi non è ebreo. In Palestina stiamo parlando di più di 6 milioni di arabi palestinesi che vivono sia nella regione occupata dal ’48 che viene chiamata Israele sia nei territori occupati della Striscia di Gaza, della Cisgiordania e di Gerusalemme.


Anche nelle colonie costruite sul territorio palestinese in Cisgiordania vige una legge che considera i coloni come cittadini israeliani, che quindi seguono la legge dello Stato di Israele, mentre a fianco ci sono villaggi e città palestinesi che sono governati dalla legge militare israeliana come territori occupati. Quindi ci sono due legislazioni in pochi chilometri. Trattano le persone in base alla religione e alla “razza”; io personalmente sono contrario al discorso sulle “razze”, però qui si parla di ebrei di religione ebraica o di etnia non araba che abitano in queste colonie.


La discriminazione la vediamo anche in vari altri aspetti: la mancanza di libertà di circolazione e di movimento sul territorio stesso e il fatto che ci sono dei privilegi anche per un ebreo che abita anche a Gerusalemme Est (che è un territorio occupato) rispetto ad un palestinese che abita a Gerusalemme nello stesso comune o municipalità.

Ad esempio se un palestinese vuole costruire una casa su un territorio di sua proprietà non gli viene permesso, invece un ebreo può confiscare o rubare un terreno su cui un palestinese vorrebbe costruirsi casa; un israeliano può anche avere il diritto di occupare una casa di palestinesi e dopo qualche mese viene sancito per legge dal tribunale israeliano il diritto da parte degli ebrei di averne la proprietà.


In Europa la causa palestinese trova appoggio solamente in settori della sinistra e negli indipendentismi come, tra gli altri, quello basco e quello irlandese. Le azioni del governo israeliano violano gli accordi e le leggi internazionali nel silenzio o con l’appoggio di molti governi. Qual è la cosa più utile che gli europei possono fare per aiutare il tuo popolo?

Come dicevo prima l’Europa non è una parte neutrale nella causa palestinese perché sicuramente rappresenta una parte di coloro che hanno creato Israele e continuano a sostenerne l’esistenza. Quindi appoggia in modo massiccio la continuità della supremazia di Israele in Medio Oriente, questo a livello governativo; invece a livello della popolazione registriamo un notevole aumento della sensibilità dei popoli europei verso la Palestina per motivi di giustizia, per motivi di umanità e anche per motivi politici.


Sicuramente nelle regioni con una cultura di sinistra c’è un appoggio alla Palestina molto evidente, ma anche nei paesi in cui è in corso una lotta per l’indipendenza – e per l’autodeterminazione dei popoli – troviamo che questo senso di appoggio e questo sentimento di sostegno politico e morale alla causa palestinese è molto forte, perché comprendono di più il significato di essere una popolazione sotto occupazione, una popolazione che viene discriminata perché diversa dalla forza dominante occupante.


In Europa vediamo un divario enorme tra la popolazione e i governi perché come dicevo prima il capitalismo trova in Israele un avamposto per continuare a controllare le risorse e i popoli del Medio Oriente – in questo caso i popoli arabi – e cerca anche di sostenere i governi e le monarchie reazionarie per poter in cambio continuare a sfruttare le risorse come quella del petrolio in particolar modo.


L’Europa ha un ruolo molto importante sia dal punto di vista governativo sia dal punto di vista della popolazione; fino ad ora sul piano governativo sono schierati contro di noi e sostengono Israele. Noi contiamo sulla popolazione in Europa per cercare di fargli cambiare rotta e cercare di fare pressioni affinché i governi cambino atteggiamento, che è quello che abbiamo visto in questi giorni di aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza e contro la Palestina intera.
Vorrei dire che questa aggressione è contro tutto il popolo palestinese e non contro una parte di esso, come viene detto nei mezzi di informazione mainstream dove pare una guerra tra Hamas e Israele: non è una guerra perché siamo di fronte a un’aggressione degli israeliani contro i palestinesi, tutti i palestinesi.


Vorrei ricordare che la Palestina è occupata quindi la popolazione,sotto occupazione, ha diritto di lottare per la propria liberazione. Gli europei possono dare una mano al popolo palestinese riuscendo a comprendere le ragioni della Palestina e informandosi su quello che sta succedendo e non continuando ad essere vittime, con la complicità dei loro governi e i loro mezzi di informazione ufficiali, della propaganda sionista.


Il mio invito è quello di cercare realmente la verità e cercare realmente di vedere le cose come stanno: il primo punto da capire è quello dell’origine dell’occupazione della Palestina. Non ha senso sostenere ancora che è necessario che palestinesi e Israele si mettano d’accordo, che bisogna creare la pace, se si continua a parlare di due Stati e due popoli o di trattative di pace: vuol dire che non è stato ancora capito che anzitutto la Palestina è occupata e che il popolo palestinese lotta per la sua liberazione da un occupante che non vuole ammettere le sue politiche di discriminazione razziale.

* Amnesty International, ANSA, Peacelink, La Repubblica, Human Rights Watch, ONU.

Artìculu prus bètzuRiccardo Serventi
Ateru artìculuComunicato congiunto iRS, ProgReS e Torra