L’urgenza ineludibile dell’indipendenza

di Gianluca Serrenti

Se mai ve ne fosse stato bisogno, la tragedia globale dell’attuale pandemia ha reso ancora più evidente, penosa, lacerante, intollerabile, umiliante, mortificante, annientante, assurda la dipendenza della Sardegna dallo Stato italiano. Ancora una volta, questo mostruoso coacervo forzato, artificiale e pseudodemocratico ci ha calpestati, affossati, strangolati senza rispetto né ritegno, scrupoli o pietà. Come sempre, del resto, da quando, dopo la lunga e disastrosa parentesi ispanica, l’Isola è stata risucchiata per infelicissime dinamiche storiche nell’orbita italiana da cui tuttora non è riuscita ad affrancarsi.

E questo perché, come al solito, le decisioni che ci riguardano, che influiscono quotidianamente sulla vita di tutti noi con esiti e conseguenze il più delle volte negativi e deleteri, per non dire addirittura nefasti, vengono prese oltre Tirreno, nelle segrete stanze dei cupi palazzi romani e in forma assolutamente standardizzata per tutto il territorio statale, senza tener minimamente conto delle specificità, peculiarità e particolarità locali, a maggior ragione in una terra come la nostra con caratteristiche geomorfologiche, storiche, linguistiche, culturali ed economiche che ne fanno un unicum meritevole di ben altro destino. Poiché di questo si tratta: essere noi in prima persona gli artefici del nostro destino, senza delegare altri, estranei senza arte né parte e immancabilmente mossi da finalità che certo non coincidono con il bene della sarda nazione.


Giusto per rinfrescare la memoria, voglio solo ricordare alcuni esempi (i più macroscopici) di come l’Italia ci ha imposto le sue scelte con ripercussioni drammatiche sulla pelle (letteralmente) dei sardi: due devastanti guerre mondiali al tempo della monarchia, non meno micidiali poligoni militari e zone industriali (con l’ultima ciliegina sulla torta della ricorrente spada di Damocle del deposito unico delle scorie radioattive) al tempo delle repubblica. Scelte che hanno condizionato e pesato sul futuro dell’Isola, come ancora in larga misura accade.


Ma torniamo alla pandemia. Con logica incontrovertibile La Palice direbbe, risultando la nostra terra ben staccata dal continente europeo (la stessa geologia ci insegna che la Sardegna non è Italia!), che il virus è stato importato da oltremare nonostante i vani e goffi tentativi iniziali, forse più di facciata che altro, da parte delle autorità preposte nostrane, di impedirne l’accesso sfruttando il vantaggio del nostro naturale isolamento. Ebbene, già prima che esso, nostro malgrado, riuscisse a radicarsi pure qui, è stato tutto un susseguirsi (per non dire un delirio) di restrizioni, divieti, chiusure totali e indiscriminate, che hanno finito di devastare il già fragile tessuto economico e soffocato le libertà individuali basilari e fondamentali facendoci piombare in un perenne stato d’emergenza e di polizia. Ricordate a titolo d’esempio i droni che inseguivano le persone sorprese fuori casa? Roba da farmi venire in mente certe serie televisive, fantascientifiche e distopiche come Il prigioniero degli anni ’60 o, in tempi più recenti, Person of Interest. Misure per lo più cervellotiche, contraddittorie, raffazzonate e rinforzate dalla lunga teoria e litania quotidiana di cosiddetti esperti virologi, immunologi, epidemiologi, fisici, statistici, professori in tutti i campi dello scibile umano e tutti ansiosi, novelli mezzibusti televisivi, di blandirci, rassicurarci, ammonirci, terrorizzarci con un sistematico e costante lavaggio del cervello.

Sulla campagna di vaccinazione, poi, è meglio stendere uno spesso velo pietoso, tra disorganizzazione, ritardi, scaricabarile e dubbi sull’efficacia e persino pericolosità dei vaccini che, è bene ricordarlo, sono comunque ancora allo stadio sperimentale nonostante la frettolosa approvazione da parte delle autorità sanitarie internazionali visto il dilagare ormai incontrollato del contagio.

Comunque, a parte la pena di dover esibire documenti e autocertificazione per giustificare i propri movimenti o di sottostare al coprifuoco come se fossimo in guerra, o lo strazio di non poter incontrare le persone care, il dramma individuale e collettivo che ci colpisce ancor di più è quello di chi, come lavoratore dipendente, ha perso l’impiego o è in cassa integrazione e chi, autonomo, ha dovuto chiudere per sempre i battenti della propria attività, messa su con tanto entusiasmo e sacrificio, spazzato via dalla crisi economica e sociale provocata dal virus proveniente dalla Cina. E non venitemi a parlare dei ridicoli “ristori” (persino nel lessico questa classe politica e dirigente è lontana anni luce dalla realtà dei comuni cittadini), vere e proprie elemosine di Stato che, se arrivano, lo fanno a babu mortu come si suol dire. E infatti molti, al colmo dell’esasperazione e disperazione, sono arrivati a togliersi la vita.


Ed eccoci dunque, appunto, alla classe politica e dirigente, ma quella nostrana, made in Sardinia, sia a livello parlamentare italiano sia a livello di assemblea isolana, su cui mi preme spendere due parole. In un mondo non dico perfetto ma almeno un po’ più giusto, ringraziando Dio, potremmo dire con orgoglio e a chiare lettere che siamo ben rappresentati, governati e amministrati da gente capace, onesta, seria, affidabile, che fa del benessere e della felicità del popolo sardo la sua stella polare, il fine ultimo quanto meno della sua attività pubblica e istituzionale se non della stessa vita. Già, perché sulla ricerca della felicità dovrebbe basarsi l’esistenza della società umana come teorizzato dalla filosofia illuministica (Filangieri docet), concetto posto al centro della Costituzione degli Stati Uniti (benché essi siano tuttora parecchio distanti dal centrare l’obiettivo) laddove quella italiana molto più prosaicamente si accontenta di fondarsi sul lavoro che spesso e volentieri (come già accennato sopra) neanche c’è, inficiando di conseguenza, come un effetto domino, tutto il resto di quella equilibristica impalcatura figlia di continui compromessi fatti col bilancino.

Ma non divaghiamo. Purtroppo in Sardegna, ben lungi dal vivere in un mondo perfetto, siamo abituati (per lo meno da quando esiste lo Statuto Speciale, senza scavare ancora più lontano nel passato) a una casta autoreplicante di politicanti sistematicamente eterodiretti, yes-men zelanti e zerbini, sempre pronti ad immolarsi sull’altare del tornaconto personale e ad ubbidire proni alla voce del padrone “continental”-coloniale di turno, meri portavoce di logiche partitiche estranee ed esecutori materiali di istanze e interessi che collidono con quelli della nostra patria. Qualcuno potrebbe chiamarli anche (pomposamente) plenipotenziari, o podatari, altri (in modo più vernacolare e ruspante) semplicemente tzeracus. Quel che è certo è che in ogni caso sono perfettamente in grado di sopravvivere e di adattarsi alle mutate condizioni (mi sa che sono loro il vero virus) politico- ambientali, aggiornandosi e adeguandosi ai tempi, pronti perfino a strumentalizzare in modo del tutto vergognoso una tragedia planetaria come la pandemia pur di portare acqua al mulino del proprio partito alieno, rinfacciandosi colpe, manchevolezze, responsabilità, come sciacalli che si sbranano l’un l’altro.

E ce n’è per tutti i gusti: dai fieri guardiani della sardità che già in origine definirono la Sardegna una nazione abortiva ai loro principali alleati (ai quali si sono consegnati mefistofelicamente) un tempo a trazione settentrionale permanente e notoriamente accusati di posizioni xenofobe e razziste, dagli epigoni del bunga-bunga a coloro che sono caduti dalle stelle alle stalle, ai pronipoti sbiaditi dell’inciucio epocale tra il diavolo e l’acqua santa e chi più ne ha più ne metta…


Ebbene, ritenete voi che tutti costoro (ma anche quanti li hanno preceduti) abbiano curato e rappresentato gli interessi, le istanze, le aspettative legittime del popolo sardo? Io credo di no, tranne forse pochissime eccezioni. La serietà dell’attuale classe dirigente sarda è esemplificata e sintetizzata tutta e perfettamente nella patetica vicenda del convivio termalebi/tri/multipartisan che tanto scandalo e clamore ha suscitato. Perciò ricordatevi di tutto ciò, di tutte le umiliazioni, amarezze, ingiustizie che questi signori ci hanno fatto subire e ingurgitare fino ad oggi. Al momento opportuno: abbiamo un’arma potentissima che è il voto, espressione della forza incrollabile, incorruttibile e non negoziabile delle nostre idee: libertà, indipendenza, democrazia, non violenza e, perché no, ricerca della felicità, tanto come affermazione individuale quanto come conseguimento sociale. Puniamo dunque, senza appello, tutti costoro, ai quali non può andare che il nostro incommensurabile disprezzo se non mostreranno sincero pentimento e non chiederanno scusa alla Nazione, in occasione del prossimo appuntamento con le urne per le elezioni nazionali sarde, estromettendoli dal controllo del futuro destino della nostra terra.

Sosteniamo fin d’ora i patrioti che, mettendosi realmente e genuinamente al servizio della comunità, si vorranno candidare e non ricadiamo nei soliti errori di sfiducia in noi stessi, retaggio del principio dell’autocastrazione e della sindrome del colonizzato, poiché, una volta al governo di quella che attualmente è la RAS, sarà compiuto il primo, storico, concreto passo sulla via (auspichiamo ancora non troppo lunga, in quanto vorrei giungere a destinazione possibilmente prima di trapassare) dell’autodeterminazione, così da camminare a testa alta come Stato tra gli Stati nel civile consesso internazionale.

Artìculu prus bètzuSuggestioni etimologiche di Helis
Ateru artìculuAlessandro Vinci