Quilo Sa Razza: “L’arte indipendente sarda deve tornare a respirare e a prendere posizione”

Approfittiamo della disponibilità di Alisandru “Quilo” Sanna per un approfondimento sulla situazione musicale sarda sia alla luce della contingenza socioeconomica generata dalla gestione della pandemia virale sia più in generale a livello di produzione artistica.


Il tuo campo specifico di competenza è molto vasto: spazia dalla scrittura alla produzione passando per l’esibizione dal vivo. Prima di entrare nello specifico dei vari temi quali sono, a grandi linee, i temi più urgenti da affrontare per iniziare a farsi un’idea della realtà musicale sarda contemporanea?

Premetto che ogni volta che rilascio qualche piccola intervista cerco di dare un mio punto di vista senza portare verità assolute e cercando di stimolare il dibattito. E’ difficile argomentare in breve o affrontare un mondo complesso come quello della musica e dell’arte in Sardegna. Quando ho l’occasione preziosa di rispondere a qualche domanda intelligente, soprattutto quando riguarda una realtà che vivo quotidianamente, voglio farlo fornendo degli spunti utili a costruire qualcosa. Il Rap è messaggio. Ed è messaggio anche politico. 

Nei miei quasi trent’anni di piccole e grandi esperienze  ho maturato la consapevolezza che il mondo dell’arte e della musica sta mutando velocemente. Benché nell’Isola – come altrove- esistono sacche di resistenza attiva, la musica si è adattata al mercato e spesso diventa un prodotto da banco più che un prodotto culturale. 

Non sono mai stato un purista quindi preferisco sperimentare, confrontarmi con nuove realtà mantenendo salde le radici. In Sardegna bisognerebbe abbandonare una certa idea atavica che affligge anche il mondo musicale, provando a costruire nuovi percorsi. 

Non parlo della musica tradizionale perchè per me nulla è tradizionale ma tutto lo diventa, il rap stesso ormai è tradizione in Sardegna. 

I temi urgenti sono tanti, in primis comprendere che l’Isola è un punto di partenza. Gli artisti devono trovare l’unità nell’identità e trasformare l’isola in un laboratorio al centro del Mediterraneo. I muretti a secco non mi sono mai piaciuti. 

Altra questione è quella di prendere consapevolezza che esistono dei veri e propri baroni della musica anche qui. E questo non va bene. Più spazi condivisi e meno orticelli che si coltivano ormai da tanti anni e che non lasciano respirare l’arte indipendente sarda relegandola solo a qualcosa di marginale, come una macchietta. 

La gestione della pandemia ha sicuramente recato un grave danno alla cultura. Non appare chiaro come possano essere autorizzati eventi sportivi con la presenza di migliaia di persone e invece essere vietati piccoli eventi artistici locali. Da ormai due estati gli artisti non possono esibirsi a causa del divieto di organizzare feste e sagre popolari nel territorio. La politica istituzionale come si è mossa?

La pandemia ha cambiato il mondo, questo è indubbio. Per quel che penso, non è un mistero, lo sta cambiando in peggio e sotto molti aspetti. C’è ancora qualcuno che pensa oggi che la poca socialità a cui siamo costretti potrà generare un mondo migliore? 

Non vi è stata una gestione razionale fin dall’inizio e la Sardegna poteva da subito difendersi agevolmente. Siamo un’Isola e mai come in questo caso la nostra insularità ci avrebbe potuto salvare invece siamo stati come un grande laboratorio. Del resto forse siamo abituati ad esserlo, vedi le tante servitù militari.  

Mi sono sempre chiesto perché non siamo riusciti a gestire un milione e mezzo di anime in mezzo al nostro mare.

L’arte tutta ha subito una vera catastrofe. I nostri paesi, già spopolati, hanno dovuto cancellare una parte della loro identità culturale. Importanti feste, sagre, occasioni di incontro e dibattito nelle comunità distrutte. 

Non che prima brillassimo di una grande luce ma oggi dopo quasi due anni siamo certamente ancora nel buio. 

L’Assessore regionale alla Cultura non si è mai espresso, non vi sono mai state proposte, incentivi e idee da mettere in campo. Per quanto riguarda noi artisti con una certa esperienza non abbiamo mai trovato l’unità. Ognuno naviga a vista e cerca di salvarsi in qualche porto sicuro. 

Qualcuno ci ha provato. Io stesso ci ho provato ma è molto difficile incontrarsi, organizzarsi  e non voglio fare certamente il capopopolo di nessuno. Il mondo dell’arte e della musica è complesso e spesso vittima di se stesso. Forse siamo noi i nemici di noi stessi. Io non voglio essere per forza negativo ma dobbiamo essere realisti e farci tutti un esame di coscienza. Oggi dopo quasi due anni ancora possiamo trovare la forza di reagire anche attraverso la musica. In questo momento drammatico nel quale ci stanno dividendo bisognerebbe cercare unità. 

Vedo troppi piccoli eventi che saltano in aria ogni giorno e la musica diventa quasi un tabù, qualcosa di proibito e, ancor peggio, sacrificabile. 

Ci puoi parlare del ruolo degli artisti sardi nei grandi eventi? Come si può contemperare l’esigenza di proporre grandi nomi internazionali dall’Italia e dal Mondo con la necessità di dare il giusto spazio alle produzioni sarde?

Ho sempre sostenuto che i grandi e grandissimi patinati eventi esclusivi non portino poi così tanti risultati. Sarebbe bello che molte piccole associazioni meritevoli potessero organizzare molti piccoli eventi diffusi nel territorio. Non sono contro i grandi eventi ma questi show sovvenzionati attraggono il pubblico con grandi nomi e lo spazio per gli artisti sardi è sempre meno. Spesso l’artista sardo è un figurante, un occasione per dire “hey, guarda noi abbiamo anche i sardi che suonano!”. Sia chiaro, per me la Sardegna deve ospitare grandi artisti di qualità che arrivano d’oltremare ma nel contempo, per eventi sovvenzionati da enti pubblici, si dovrebbe spendere almeno il cinquanta per cento in maestranze locali di talento, dando spazio alla musica d’autore, alla musica contemporanea e lasciando i capitali nell’isola in modo che gli artisti possano lavorare, crescere e investire. 

Sono le grandi produzioni, le grandi agenzie estere che portano i soldi pubblici fuori dalla Sardegna. 

In molti diranno che i grandi concerti fanno girare l’economia locale. Certamente, ma la farebbero girare ugualmente se si desse più spazio e dignità alle realtà locali. 

Ho visto dei concerti di band sarde fare il pienone e altre piazze mezzo vuote quando cantava  qualche nome, qualche “meteora” che ormai non suona più neanche in Italia.  

Quindi ben vengano i grandi nomi, ben venga lo scambio – se di scambio vero e genuino si tratta – ma con un sistema equo che possa produrre ricchezza artistica, che possa ispirare anche i più giovani. Se i giovani musicisti non vedono la musica come opportunità allora andranno via. La Regione, le pro loco, i comitati devono fare la loro parte e affidarsi a direzioni artistiche serie e capaci. La musica è cultura, la musica è lavoro, la musica e l’arte sono una parte importante della vita delle persone. 

Nonostante tutto, la scena musicale sarda sta resistendo? Qual è la situazione dei giovani musicisti indipendenti che scrivono e cantano soprattutto in Lingua sarda? Di cosa parlano, quali i temi, quali le aspettative?

La cosiddetta scena sarda è molto eterogenea. Chi ha delle basi solide resiste e cerca oggi nuove soluzioni ma lo spazio di azione è poco e spesso ci si trova a sgomitare per una piccola serata. 

Io vedo molti artisti e artiste sarde di grande capacità, nonostante i più giovani stiano andando via e stentano ad investire tempo e denaro per fondare nuove band, nuove formazioni che producano musica originale. 

Molti musicisti, anche veramente bravi, lavorano soprattutto nelle cover band che vanno per la maggiore. 

Sulla Lingua sarda la musica contemporanea sta andando male. Ho notato addirittura una regressione. Si preferisce cantare in Italiano o Inglese e questo non è per forza un male.  Fino al 2007 ho visto un bel movimento di artisti rap, rock, reggae, di cantautori che cantavano in Sardo. Oggi siamo in caduta libera.  

Molte belle realtà si sono divise oppure hanno chiuso i loro progetti. E’ triste. La Lingua sarda nelle sue varianti principali è quindi oggi relegata al folk, al new folk, al pop e affini. Le politiche linguistiche non premiano gli artisti sardi che usano la Lingua madre. Ma credo che ci siano ancora spazio e voglia. Quando parlo con artisti italiani – anche conosciuti – mi dicono “fallo in sardo! E’ bellissimo!”. Sì, perché alla fine è una ricchezza, non un limite.  Noi dobbiamo e possiamo produrre canzoni in tutte le Lingue ma dobbiamo imparare a usare su Sardu, a ddu imperai mellus.

Quali sono i tuoi ultimi progetti, su cosa stai lavorando in questo momento?

Nel 2008 nasce ufficialmente la factory sarda Nootempo.net che negli anni ha seguito e prodotto molti artisti isolani di tutto rispetto, li ha fatti crescere e li ha promossi. Il progetto è partito come un collettivo artistico per poi diventare una non etichetta discografica, concetto oggi superato. Una realtà indipendente che ancora oggi produce arte, musica, eventi. Nel portale ufficiale diamo ampio spazio a recensioni, interviste e novità su tutte le nuove release. Nootempo è artivismo politicamente scorretto, è sperimentazione. Non si nutre di soldi pubblici ma vive grazie alle nostre risorse e alle persone che ci danno una mano supportando. Nootempo è stato il modello di altre realtà sarde e questo sinceramente ci rende felici perché il nostro intento è sempre quello di creare ponti e non muri. La factory sarda stava per lanciare altre iniziative ma in questi ultimi due anni abbiamo preferito far girare il motore al minimo e restare sottotraccia pur continuando le nostre attività. Pochi sanno che Nootempo ha varcato il mare e oggi abbiamo una sede di riferimento a Liverpool seguita dall’artista producer Gabriele Ganga in arte Gangalistics. Puntiamo molto sulla nostra piattaforma che include tutti i social network più attivi (Instagram, Twitter, Facebook), un canale YouTube ufficiale e un portale web proprietario.

Con Sa Razza e Malos Cantores la tua opera artistica è sempre stata connotata da uno stretto legame con temi sociali e con il sentimento di indipendenza e di autodeterminazione nazionale del popolo sardo fino a diventarne in alcuni casi lievito e ispirazione per le giovani generazioni che attraverso l’ascolto iniziavano a ragionare dei temi a noi cari, della loro identità culturale e politica. Negli ultimi anni allo smarrimento dell’idea politica indipendentista è corrisposto un calo di attenzione sia verso le nostre tematiche, sia addirittura nei confronti della stessa esistenza degli artisti di area. Pensi che una ripartenza politica possa far sbocciare nuovamente l’interesse di grandi fette di giovani verso un certo tipo di produzione musicale?

Il mio percorso verso la presa di coscienza e verso l’indipendentismo moderno e nonviolento li ho sempre tradotti in musica. Non è un mistero. Lo testimonia la discografia prodotta. Credo che i sardi non siano ancora pronti ad essere popolo. La mia esperienza politica e sociale in iRS è stata la mia più grande gioia e la mia più grande delusione. 

Oggi è passato del tempo, troppo tempo. E come tanti sono rimasto indipendente, senza legami verso qualsiasi sigla politica. La mia musica è politica. E’ messaggio politico. iRS è stata per me una casa, una scuola. Ero stato folgorato proprio dai movimenti di sardi liberi in cui numerosi artisti trovavano voce, spazio e un ruolo. La balcanizzazione dell’indipendentismo sardo moderno ha fatto sì che gli stessi artisti non trovassero più motivazione in una causa comune. Non mi sono mai candidato, neanche mentre avevo responsabilità organizzative, proprio perchè ho sempre pensato che un artista dovesse essere libero e dovesse avere un ruolo preciso anche all’interno del movimento. 

L’arte, la musica, devono essere parte fondamentale di una possibile rinascita e questo senza essere strumentalizzati da fazioni o bandiere ma essendo il punto di incontro. La cultura non può essere sempre messa in mezzo per convenienza, la cultura e l’arte devono essere linfa per una nuova consapevolezza sulla questione sarda. Mi dispiace che tanti indipendentisti sardi si siano dimenticati di quello che molti artisti giovani hanno fatto per la causa.  

Qualche tempo fa ho realizzato una canzonedda da solista dal titolo “E il resto della Penisola?”. Un testo bilingue che la dice lunga su quanto oggi penso sui sardi. Una song un po amara, ironica e provocatoria che trovate in tutti i digital stores, come si usa oggi; una song che è stata poco condivisa dagli stessi indipendentisti. Questo la dice lunga sull’attenzione che si ha verso certe tematiche. Ma è tutto perso? Credo di no.  

Come può la politica in senso lato aiutare fattivamente i giovani artisti indipendenti?

Chi produce e lavora nel mondo dell’arte e della musica non va supportato con le pacche sulle spalle ma con la condivisione, con il coinvolgimento nei territori, con iniziative che promuovano la musica sarda contemporanea. Bisogna creare una rete, senza per questo isolarsi ma trasformando davvero questa terra in un laboratorio al centro del mediterraneo. La politica deve essere attenta alle nuove realtà, trovare spazi e diffondere iniziative diffuse intelligenti che possano produrre energia vitale per le realtà indipendenti valide , genuine e di talento. La politica deve aprire le porte agli artisti e farsi carico dei loro problemi senza andar dietro ai soliti “baronetti” che non fanno altro che creare dei piccoli club di privilegiati. Attenzione ai progetti, alle produzioni e a tutto quello che si cerca di produrre. 

Più centri di aggregazione, più spazi che siano incubatori di arte e cultura indipendente. Sembrano tutti facili slogan che sentiamo da anni ma invece devono essere obiettivi reali. Per me bisognerebbe creare una Assemblea Permanente degli Artisti sardi che sia luogo di dibattito, di confronto e nuove idee.    

Con il progetto Helis e con il processo di dialogo Est Ora stiamo si sta cercando di ricomporre e rilanciare l’indipendentismo politico organizzato. Nelle intenzioni dei promotori c’è sicuramente anche quella di ritrovare una sintonia e un’interazione virtuosa con il mondo dell’arte e della musica indipendente. Pensi che sarà possibile ricreare un qualche tipo di alchimia positiva tra proposta politica e mondo culturale?

In questi ultimi anni purtroppo ho coltivato molta diffidenza verso i movimenti politici ma sono sempre attento a tutto quel che accade. Non mi pongo in maniera distruttiva ma resto in ascolto. Ascoltare è importante.  Credo nella politica attiva. Credo che ci sia ampio spazio per rilanciare processi interessanti ma vedo molta frammentazione in questo momento. Si deve costruire un grande dibattito che riporti al centro l’arte, la cultura e quindi anche la musica. E’ necessario che i movimenti dialoghino. Il processo di unità lo vedo ancora difficile. Sono stati fatti molti errori e questo lo sappiamo ma non voglio vedere la mia terra orfana di movimenti che abbiano come obiettivo la questione sarda. La stessa parola indipendenza oggi credo abbia perso la sua forza. I linguaggi sono cambiati, il modo di comunicare è cambiato. Abbiamo bisogno assolutamente che l’attivismo politico coinvolga gli artisti senza strumentalizzarli, abbiamo bisogno che tutte le parti in gioco possano confrontarsi anche aspramente e abbiamo bisogno oggi di persone nuove, capaci e visionarie quanto basta per dare slancio a nuovi progetti. Noi artisti nel contempo dovremmo organizzarci e fare massa critica, spingere i movimenti ad agire. Noi artisti dobbiamo tornare ad esprimerci senza paura e prendendo posizione, lo dobbiamo alla nostra Isola, lo dobbiamo a noi stessi. 

Artìculu prus bètzuCarta de Montarbu, po unu movimentu linguìsticu unitàriu
Ateru artìculuCatalogna, Diada. Intervento di Simone Maulu al Fossar