Coalizione Sarda. Facciamo come in Corsica? Dipende

“Dobbiamo fare come in Corsica” è indubbiamente il grande classico delle considerazioni politiche al volo, quelle cotte e mangiate, quando qualcuno ti incontra per strada e ti riconosce ma in concreto non sa nulla né di quello che propone l’indipendentismo né tantomeno di ciò che accade realmente nell’Isola sorella.

Noi che di indipendentismo sardo e di politica còrsa ci nutriamo da decenni possiamo dircelo francamente: la maggior parte delle persone parla a vanvera, sia di indipendentismo sia di Corsica. Nel primo caso è sicuramente anche colpa nostra perché dovremmo fare di più per far conoscere le nostre visioni e le nostre proposte. Nel secondo caso prevalgono i miti e il sentito dire. Eppure per informarsi e colmare la distanza dei dodici chilometri tra Lungoni e Capu Pertusatu bastano pochi minuti di nave. O una ricerca in rete.

Svolta storica per la Sardegna?

Quello che sta avvenendo in occasione di queste elezioni nazionali sarde ha teoricamente tutte le caratteristiche per passare agli annali come il punto di svolta politico dell’area indipendentista, di quella autonomista e quindi di tutta la società sarda e degli assetti di potere, quantomeno dei prossimi venti anni. Esagero? Forse. Ma senza farci deprimere dalle tante occasioni perse dalla nostra area vasta o dai tanti meritevoli tentativi falliti nonostante la dedizione e l’impegno di centinaia di attivisti, dobbiamo concentrarci sugli elementi certi di cui disponiamo. Lasciamoci quindi alle spalle dietrologie, fatalismo e certezze granitiche. Guardiamo la realtà e impostiamo un ragionamento sui dati di fatto, sulle scelte e sulle azioni.

Le scelte e le azioni

Renato Soru ha scelto di abbandonare il Partito Democratico e di riprendersi Progetto Sardegna. Ha dato vita alla Coalizione Sarda, totalmente sganciata dai grandi partiti del potere italiano. Ha dichiarato pubblicamente di voler creare una forza che giochi qui da noi lo stesso ruolo dell’Union Valdôtaine o della Südtiroler Volkspartei, rispettivamente in Valle d’Aosta e in Tirolo del Sud. Ha fatto riferimento a parallelismi politici e culturali tra la situazione della Sardegna e quella della Scozia, della Catalogna e dei Paesi Baschi. Ha inoltre chiarito che questo nuovo autonomismo dovrà collaborare con l’indipendentismo. E infatti nella Coalizione Sarda troviamo ben tre sigle indipendentiste: Liberu, che ha frequentato il tavolo del centrosinistra italiano prima di abbandonarlo assieme allo stesso Soru; iRS e ProgReS che – essendo impegnati nel processo di dialogo Est Ora assieme al coordinamento Torra – hanno scelto tatticamente di dare vita con Sardegna Chiama Sardegna alla lista comune Vota Sardigna.

Oltre i pregiudizi e i preconcetti questi sono i fatti. Ci sembrano di poco conto? Possiamo scegliere di ignorare tutto questo e metterci ai margini di queste dinamiche? In nome di cosa? E con quali alternative?

L’alchimia politica dell’interazione tra indipendentismo e autonomismo nazionale sardo è l’unica che può offrire alla società la reale opzione dell’alternativa rispetto al sistema di potere italiano che si articola nelle due maschere di centrodestra e di centrosinistra.

Oltre le lacune dell’autonomismo storico

A differenza della Corsica la Sardegna non ha mai avuto un autonomismo nazionale. Infatti l’autonomismo sardo ha sempre agito da gestore locale degli interessi statali, sempre fortemente rivendicazionista, quindi profondamente unionista. Comunque interprete di un mero decentramento più che di una devoluzione di poteri. Come ci insegna Mario Melis, anche quando l’autonomismo si è tinto di indipendentismo il progetto esplicito è stato quello di dichiarare l’indipendenza per immediatamente federarsi all’Italia. D’altronde la Sardegna è un rarissimo caso di nazione senza Stato nella quale la fede autonomista viene agita sotto le insegne della bandiera statale.

In Sardegna quindi c’è veramente bisogno di un grande partito autonomista che abbia come orizzonte politico gli interessi e le necessità del popolo sardo; che pur non coprendo lo spazio politico dell’indipendentismo agisca in ottica nazionale sarda; che rifugga dalla retorica revanchista e rivendicazionista patriottarda italiana; che non mascheri dietro il velo di sardismo una viscerale italianità. 

A sostegno di questo grande partito neoautonomista nascerebbe fisiologicamente un grande bacino sociale di sostegno. Potremmo forse dire finalmente addio ai finti nuraghi disterrati cinti dal Tricolore italiano. Ai 28 Aprile sostanzialmente dedicati all’Unità d’Italia. Alle assemblee politiche autonomiste rinviate perché dirigenti e attivisti devono correre a tifare la nazionale italiana.

Il modello Corsica

Noi sardi abbiamo molto da imparare dalla politica della nostra Isola sorella. In termini di chiarezza concettuale sulla differenza tra nazione e Stato, in termini di coerenza politica e di dedizione militante. Ma se si vuole idealmente e operativamente prendere come punto di riferimento il sistema politico còrso per progettare l’architettura della Coalizione Sarda – o meglio della grande area autonomista e indipendentista che noi auspichiamo possa nascere dopo le elezioni – è necessaria un’analisi profonda delle dinamiche còrse, delle interazioni tra autonomismo e indipendentismo, tra partiti nazionali còrsi e partiti statali francesi, tra scelte unitarie entusiasmanti e decisioni egoistiche e suicide.

Nell’ultimo decennio la Corsica è stata un laboratorio politico che sta già facendo scuola e che ci indica alcune direttrici fondamentali: l’autonomismo deve riconoscere la nazione e non deve essere agito all’interno dei partiti statali; l’indipendentismo deve interagire con questo autonomismo, senza paura di esserne fagocitato. Perché le due strade sono parallele e proprio per questo consentono la collaborazione ma non portano alla sovrapposizione. Ma questa dinamica è possibile solo a patto che le due aree si rispettino e che la più grande non miri all’annullamento dell’altra.

L’alchimia positiva

Nel 2015 in Corsica le forze indipendentiste e quelle autonomiste hanno siglato un’alleanza elettorale che ottiene il più del 35% dei voti e che porta – per la prima volta nella storia dell’Isola dai tempi della Repubblica Còrsa di Pasquale Paoli – alla formazione di un governo nazionale. Nelle elezioni successive le forze governative aumentano i consensi arrivando a superare il 54% e si riconfermano al potere per una seconda legislatura. La portata della vittoria è tale che impedisce ai partiti del centrosinistra francese di avere rappresentanti nel Parlamento còrso.

L’alchimia inversa

Dopo sei anni di governo nazionale còrso gli autonomisti di Femu A Corsica decidono di rompere il patto elettorale e programmatico che secondo gli accordi sarebbe dovuto durare almeno dieci anni, escludono dall’alleanza sia gli indipendentisti di Corsica Libera sia gli autonomisti del PNC e vincono a mani basse in solitaria con oltre il 40% dei consensi. Gilles Simeoni viene confermato per la terza volta Presidente ma alla sua vittoria personale corrisponde in modo proporzionale lo sfascio politico, sociale e umano di un’idea nazionale propositiva e collettiva che era riuscita a coinvolgere l’indipendentismo, l’autonomismo e, numeri alla mano, anche larghe fette di ex elettori dei partiti progressisti statali.

Per dirla con le parole di Jean-Guy Talamoni, storico esponente indipendentista ed ex Presidente dell’Assemblea di Corsica durante i primi sei anni di governo nazionale, gli apprendisti stregoni autonomisti sono riusciti a invertire l’alchimia politica trasformando l’oro della maggioranza nazionale nel piombo di una maggioranza autonomista, quindi unionista, completamente succube dei diktat e dell’immobilismo dello Stato francese che nega alla Corsica persino le più blande concessioni sul concetto di popolo o sull’ufficializzazione della Lingua.

Di cosa abbiamo bisogno?

Tornando alle nostre vicende appare quindi evidente che se scegliamo di attingere all’esperienza della Corsica dobbiamo fare nostri gli spunti migliori e prendere come monito le opzioni peggiori e deleterie.

La nostra necessità è che dall’attuale fase scaturisca una novità strutturale nell’ecosistema politico sardo: appena dopo le elezioni, a prescindere dal loro risultato, Progetto Sardegna dovrà confermare l’impegno nella strutturazione di un nuovo tipo di autonomismo nazionale, senza mai più rientrare nei ristretti e frustranti ranghi delle sigle italiane; e la nostra area indipendentista dovrà portare a termine l’opera di riorganizzazione e di razionalizzazione dell’offerta politica iniziata con il processo di dialogo Est Ora, che coinvolge iRS, ProgReS e Torra e che negli ultimi mesi ha visto il prezioso avvicinamento di ulteriori attivisti, esponenti e amministratori.

Nella collaborazione costante e coordinata tra tutto l’indipendentismo e l’autonomismo nazionale troveremo nei prossimi anni gli strumenti per strutturare l’offerta politica alternativa al sistema di potere italiano. E, a medio periodo, i sardi e le sarde potranno finalmente sperimentare l’ebbrezza, attualmente riservata solo ad altri popoli di nazioni sorelle, di un voto e di un impegno finalmente affrancato dalla cappa asfissiante del meno peggio tra gli italiani. Perché il meglio per la nostra nazione e per il nostro popolo saremo, assieme, definitivamente e incontestabilmente noi.

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